Francesco Targhetta , sulla quarta di copertina del suo libretto di poesie, Fiaschi, si presenta in modo minimalista e quasi sciatto: “classe 80, pencola tra due città sorvegliate dalle ronde, come lavoro cerca di risultare sospetto e ci riesce spesso, come passatempo suona due chitarre e un ukuleke, ascolta e recensisce valanghe di dischi, ogni tanto insegna la consecutio in qualche scuola statale”. Non si tratta naturalmente di un ritratto realistico: il fatto è che l’autore ha covato una passione fin dai quattordici anni per i poeti crepuscolari, in particolare per Govoni, di cui ha curato ottimamente, come scrive il Corriere, una raccolta di poesie. E da questi poeti ha assorbito il gusto, non solo per atmosfere a tutti gli effetti crepuscolari (gli autunni, i tramonti, il timbro dei viola e dell’arancio per i cieli, contrapposto alla penombra degli interni) ma anche per uno stile ironicamente under statement, per la scrittura prosastica, per i temi quotidiani, a partire dalle minute, banali, operazioni di sopravvivenza quotidiana (la spesa al supermercato, l’eliminazione differenziata dei rifiuti, l’attraversamento di una rotonda).
Non si tratta però del trionfo della banalità dovuta ad un vuoto interiore: il vuoto è piuttosto nella proiezione del futuro, generato da un sistema che, anziché promuovere e valorizzare i giovani talenti, li emargina, li fa sentire inutili privandoli anzitutto di quello che, nella Costituzione, è riconosciuto come un diritto primario: quello del lavoro. Da cui deriva ogni altro riconoscimento economico e sociale. Mancando questo riconoscimento pubblico di stima, un giovane tende a ripiegarsi su se stesso, a compilare deprimenti liste di “fiaschi” (quelli morali e quelli contenenti il vino, bevanda dell’oblio), a chiudersi in opprimenti stanze chiuse, perché tanto, fuori, non c’è nemmeno la consolazione di un bel paesaggio, ma lo spettro del cemento grigio che incombe per ogni dove. “Il tonno a due euro e venti sventolato/come conquista nel mio foglio/delle sconfitte è la prima della lista”. “Fiaschi” è’ il ritratto di una gioventù disperata, che non merita nulla di tutto questo. E’ un atto di accusa, e una promessa, ma ahimè ancora lontana, di ribellione.
Soffermarsi sui temi, porta però a svalutate, ingiustamente, l’aspetto linguistico e tecnico. Se indossare una logora maglietta nera (rockettara, anarchica o esistenzialista), non comporta automaticamente di altri capi, o l’incapacità di portare altro, così i toni crepuscolari non devono trarre in inganno. C’è, anche se mimetizzata, un’accurata ricerca sul piano fonico e lessicale, ma anche su quello metrico-ritmico e retorico. C’è insomma alle spalle quella scuola odios-amata che ha solleticato delle aspettative professionali, senza poterle garantire.
La raccolta inizia significativamente con un “Curriculum della rivolta”: “Scarica, mi dicono gli amici del sabato/il modello europeo del CV: compila”. “Una sera dopo i wurstel /lo stendo (…) le espongo in grassetto/ tutti i miei fallimenti, arial corpo sedici/sottolineato, perché lo vedano bene, senza/ nessuna commedia, tutto quello che porto in dote/e se rivolta non sarà, impreco agli amici,/sia la rivoltella, almeno, di un nostro nipote”. E finisce circolarmente con “La rivolta”.
“ La voglio fare per te la rivolta,/ dentro grumi di città senza sole/e barricate: che le vedano,/le maestre d’asilo, le nostre facce/ sconvolte come quelle dei ladri/sulle pagine scialbe delle testate/locali: Che ci vedano, quel giorno, i nostri padri”. Non aspettiamo altro.
Francesco Targhetta, Fiaschi, ExCogita Editore