Archivio per gennaio, 2009

Due parole (almeno mentalmente mi dico sempre così poi divago e sbrodolo parole a destra e a manca), su un film che ho visto sabato sera: “L’ospite intattso”.ospite

E’ un film in cui il protagonista è un professore universitario prigioniero della propria vita monotona assolutamente scevra da emozioni, per lavoro si reca a New York dove ha un appartamento che non usa da anni. Quando vi si reca scopre che al suo interno vi alloggiano due persone Tarek (siriano) e la sua compagna Zainab (senegalese), che sono stati vittima di raggiro da parte di un amico il quale disse loro che l’appartamento era libero e in affitto. Dopo essersi chiariti con il professore, il cui nome è Walter Vale, i due si accingono a lasciare l’appartamento con tanto di scuse ma il docente, mosso da compassione visto che non avevano un posto presso cui stare, decide di ospitarli per il tempo necessario a trovare una soluzione.

Tra Tarek e Walter nasce un’amicizia basata sulla musica, Tarek suona il tamburo africano e Walter inizia a suonarlo grazie ai consigli dell’amico. Proprio quando tutto inizia a girare per il meglio, al ritorno da una suonata collettiva al parco, Tarek vine fermato in metropolitana dalla polizia. Si scopre così che i due amanti sono clandestini e inizia il calvario che vede il docente tentare di far uscire l’amico dal centro di detenzione temporanea presso cui è stato rinchiuso in attesa di provvedimenti.

Non è un film violento, è lucido, fa riflettere, mette in luce la cecità e le contraddizioni dell’ente immigrazione americano. L’opera ci mostra un’America che, smaniosa di giustizia (alias “vendetta”) per i fatti dell’undici settembre, si accanisce con irragionevolezza contro gente che con quei fatti non ha nulla a che fare; eloquente la frase da rinchiuso di Tarek che recita più o meno così: “…quelli pensano che qui dentro ci siano i terroristi ma non capiscono che i terroristi hanno soldi e sono lì fuori e ben protetti …”.

Il film vede anche il riscatto da parte di Walter della sua vita, un risveglio che lo porta a rendersi conto e ad ammettere ad un interlocutore (madre di Tarek) il vuoto e l’inutilità della sua esistenza. Vediamo un Walter, inizialmente razionale e freddo, scoprire e far uscire l’arte che c’è dentro in lui, lottare per un qualcosa di cui pian piano prende coscienza, capire che il suo cuore non è avvizzito.

Terminato il film mi è balzata per la mente una frase di una canzone di Giorgio Gaber (“Io se fossi Dio”) che mi pare calzare molto bene con il messaggio predominante passatoci dalla pellicola:

“…e mentre da una parte si spara un po’ a casaccio dall’altra si riempiono le galere di gente che non c’entra un cazzo…”

La spesa

Pubblicato: 08.01.2009 da bazu in Racconti
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«Ma possibile che quando la cerchi non ci sia mai una penna in questa casa?» penso, e intanto mi affanno a rovistare in ogni cassetto di questa maledettissima cucina. Apro , chiudo, stravolgo l’ordine e la pace di ogni oggetto che tocco «mi resta poco tempo, dannazione, e devo scrivere per non dimenticare». La trovo finalmente un’unica biro, strappo un lembo sufficientemente bianco di un volantino pubblicitario, azzanno e sputo per terra il tappo della BIC nera, non scrive, alito sulla sferetta, nessun segno di vita. «Ci sono, la collezione di Marta! » mi precipito in studio, apro il prezioso cofanetto di vengè e la MontBlanc con pennino dorato è lì pronta certamente funzionante visto l’uso frequente che Marta ne fa per dar sfogo alla sua vena creativa. Freneticamente scrivo in ordinata sequenza la serie di nomi comuni di cosa che ho in mente. Mi sento più libero ma sempre in ritardo. Afferro il giubbotto chiudo la porta, scendo le scale velocemente.

Salgo in macchina, non devo fare molta strada, sono appena in tempo. «Eccolo, il solito bifolco lui e il suo fottuto fuoristrada che occupa due posti», parcheggio qualche metro più in là. Prendo dal porta oggetti l’unica moneta da un euro. Lascio la macchina, infilo l’euro nell’apposita fessura, prendo il carrello e mi fiondo dentro al supermercato.«ce l’ho fatta ora nessuno mi può cacciare».

Suona il telefono cellulare, è Marta, conto qualche secondo per mascherare l’ansia che mi pervade. Rispondo: «Ciao Amore», «Ciao» dice e riprende: «ti sei ricordato vero di prendere la tessera dei punti che c’era sulla cassapanca, con questa spesa ci facciamo il piatto fondo che hai mandato in frantumi la scorsa settimana», silenzio, allontano la cornetta, guardo il cielo impreco mormorando a denti stretti, poi riprendo il cellulare e con la pila di piatti-premio ben in vista dico «certo che ce l’ho, ma vedi sembra che li abbiano finiti, bisognerà aspettare una settimana».

Chiudo gli occhi e attendo il rinculo.